In questo episodio proviamo a rispondere a una domanda: ma il colluttorio può fare qualcosa contro il Covid-19?
Nel precedente episodio ci eravamo chiesti se il colluttorio può fare qualcosa contro il Covid-19. Non avevamo trovato una risposta, limitandoci a impostare alcune premesse e considerato alcuni elementi. Per esempio, tra questi ultimi avevamo visto che in alcuni colluttori è presente il cloruro di cetilpiridinio – detto anche, più facilmente, CPC – e che alcuni test di laboratorio indicano come il principio attivo in grado di prevenire l’infezione da Coronavirus. Tra le premesse, invece, avevamo sottolineato che non ci sono prove certe sull’efficacia preventiva del CPC, e che quindi l’unica risposta possibile alla domanda base di questo episodio – la ripetiamo: può il colluttorio fare qualcosa contro il covid 19 – resta “non lo sappiamo”. E ci eravamo lasciati con la promessa di analizzare dati ulteriori, riportati da una revisione delle attuali raccomandazioni sull’uso dei collutori contro la pandemia. E quindi, eccoci qui.
Partiamo dagli Stati Uniti, dove l’American Dental Association (ADA) e il Center for Disease Control and Disease Prevention (CDC) hanno raccomandato l’uso di collutori prima delle procedure previste dagli interventi odontoiatrici. I principi attivi presenti nei collutori che esercitano un’azione antibatterica e/o antivirale sono: la clorexidina, il perossido di idrogeno (che tutti conosciamo come acqua ossigenata), il il già citato cetilpiridinio (CPC) e lo iodopovidone (PVP).
Partiamo dal primo di questi principi attivi, la clorexidina. Se ascolterai l’episodio precedente a questo (o magari l’hai già ascoltato) apprenderai che anche Donald Trump, più o meno un anno fa, l’ha citata come appunto uno dei rimedi contro il virus (lui poi ne ha suggerito un uso improprio, ma lasciamo stare). E dunque, la clorexidina è un antisettico ad ampio spettro che, tra le altre sue proprietà, esercita un’azione antibatterica. In odontoiatria è utilizzata per ridurre la placca dentale e trattare le malattie parodontali (e a proposito, ti invitiamo a ad ascoltare l’episodio di Addenta la salute dedicato a quelle malattie e alla carie).
Alcune prove indicano un effetto in vitro della clorexidina contro i virus con una capsula costituita da lipidi come sono quelli dell’influenza A, della parainfluenza, com’è l’herpes virus 1, il citomegalovirus e l’epatite B. Il Sars-Cov-2, cioè il Virus che determina il Covid, è virus anch’esso capsulato; e tuttavia,qui ci sono elementi contrastanti. Da un lato è stato suggerito o che la clorexidina digluconato 0,12% eserciti un effetto debole o addirittura nullo contro i coronavirus se confrontato con altri colluttori. Da un altro lato, alcuni autori hanno verificato che l’azione del SARS-CoV-2 si interrompe per due ore dopo aver usato una volta 15 ml di clorexidina 0,12%, lasciando quindi aperta la possibilità a un suo benefico utilizzo per il controllo della trasmissione di COVID-19.
Passiamo al perossido di idrogeno, cioè acqua ossigenata, che sin dagli inizi del Novecento è utilizzato in odontoiatria da solo o in combinazione con dei sali. Come collutorio, è un liquido inodore, chiaro e incolore. insomma, come l’acqua. Uno studio in vitro ha rilevato che diluita al 3% l’acqua ossigenata inattiva l’adenovirus di tipo 3 e 6, il virus adeno-associati di tipo 4, il rinovirus 1A, 1B e tipo 7, il mixovirus, l’influenza A e B, il virus sinciziale respiratorio, il ceppo lungo e il ceppo del coronavirus 229E entro trenta minuti, rilevando una maggiore sensibilità dei coronavirus e dei virus influenzali. Poiché la SARS-CoV2 è vulnerabile all’ossidazione, sciacqui contenenti agenti ossidativi come il perossido di idrogeno all’1% sono consigliati per ridurre la carica virale nella saliva.
Il cetilpiridinio (o CPC )è un composto di ammonio quaternario, non nocivo per l’uomo. Il CPC 0,05% è stato usato come alternativa alla clorexidina per ridurre la placca dentale e la gengivite nei pazienti che sviluppano irritazioni delle mucose e pigmentazioni dentali. L’effetto antivirale del CPC è stato dimostrato nei pazienti affetti da influenza: riduce significativamente la durata e la gravità della tosse e del mal di gola. Le ipotesi di una possibile azione sulla SARS-CoV-2 si basano sul suo meccanismo d’azione – in termini tecnici, lisosomotropico – e sulla sua capacità di distruggere i già visti virus capsulati. E siccome il coronavirus è tra questi, i risultati indicano che il CPC potrebbe essere efficace per debellarlo.
Infine, c’è lo iodopovidone (PVP-I), complesso a base di iodio idrosolubile ampiamente utilizzato come antisettico cutaneo prechirurgico e come collutorio. È tipicamente usato in concentrazione dell’1% per trattare mucosite, profilassi delle infezioni orofaringee e prevenzione della polmonite nei pazienti intubati. Dopo che lo iodio libero si è dissociato dal polivinilpirrolidone, si verifica un’azione antimicrobica grazie al fatto che lo stesso iodio penetra rapidamente nei microrganismi per interrompere le proteine: quindi ossida le strutture di acido nucleico e causa la morte del patogeno. La sua efficacia antivirale è stata ben dimostrata da numerosi studi in vitro, tra i quali spiccano quelli su SARS-CoV, MERS-CoV, e sul virus dell’influenza A (H1N1). Recenti indagini hanno proposto l’uso del collutorio con iodopovidone allo 0,23% per almeno 15 secondi prima di una procedura odontoiatrica, per ridurre la carica virale salivare, e ne è stato indicato e l’uso nei pazienti positivi al Covid-19.
Dopo questa panorama piuttosto specifica, possiamo dire quindi che che alcuni collutori sono utili nella prevenzione del Covid-19 in pazienti che devono essere sottoposti a terapie odontoiatriche. Inoltre, nei limiti delle revisioni oggi disponibili e nonostante le scarse evidenze cliniche, è suggerito l’uso di collutori nella pratica odontoiatrica per ridurre la carica virale del Covid-19 e per ridurre il rischio di infezioni incrociate durante il trattamento.
Resta comunque un punto fermo: per valutare l’efficacia dei collutori antisettici sulla SARS-CoV-2 e per determinarne il suo potenziale di utilizzo contro questo nuovo virus sono certamente necessari ulteriori studi clinici, anche con gruppi di controllo e su larga scala.
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